Newsletter sulle ultime specifiche novità normative e giurisprudenziali


a cura dello Studio Legale Associato QUORUM

NEWSLETTER MARZO 2013 -  CIVILE

LA RIFORMA DELL’APPELLO CIVILE

L’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. “decreto sviluppo”), convertito in legge 7
agosto 2012, n. 134, ha introdotto alcune significative modifiche nella disciplina del
giudizio di appello.
 
1.  La modifica di maggior impatto riguarda  l’introduzione di un vero e proprio
“filtro” per la proposizione dell’appello, il cui funzionamento è disciplinato dagli
artt. 348 bis e ter c.p.c. introdotti, per l’appunto, dalla recente legge di riforma.
 
L’art. 348  bis  c.p.c., in particolare, prevede che,  laddove il giudice dell’appello
ritenga che l’impugnazione non abbia ragionevole probabilità di essere accolta, ne
dichiara l’inammissibilità con ordinanza. Tale valutazione, non prevista dalla
previgente disciplina, è prodromica rispetto all’eventuale prosecuzione del giudizio
di appello  e,  secondo quanto previsto dal successivo art. 348  ter  c.p.c.,  viene
effettuata dalla Corte in via preliminare all’udienza di prima comparizione dopo
aver sentito le parti e prima di procedere all’effettiva trattazione della causa.  
 
Se l’appello principale proposto dall’appellante concorre con un appello incidentale
presentato dall’appellato, la Corte potrà pronunciare l’ordinanza di inammissibilità
soltanto se entrambi gli appelli sono inammissibili.
 
Nel caso in cui la Corte, ai sensi del citato art. 348 bis c.p.c., dichiari con ordinanza
l’inammissibilità dell’appello, con la medesima ordinanza condannerà la parte che
ha proposto l’appello  inammissibile  al pagamento delle spese di lite.  E’ inoltre
previsto un incremento anche del c.d. Contributo Unificato, da integrare in caso di
declaratoria di inammissibilità.
 
A seguito della declaratoria di inammissibilità dell’appello,  l’appellante può
proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado (e non contro
l’ordinanza) entro 60 giorni dalla comunicazione, o notificazione se anteriore,
dell’ordinanza di  inammissibilità. In caso di accoglimento del ricorso la Corte di
Cassazione, secondo le norme del giudizio di rinvio disciplinato dall’art. 383 c.p.c.,
rinvierà la causa ad un altro giudice per il riesame di merito della causa.
 
Il “filtro” in appello ai sensi del secondo comma dell’art. 38  bis  c.p.c. non si
applica:  
a)  quando l’appello riguarda una delle cause per le quali è previsto l’intervento
obbligatorio del Pubblico Ministero (quali ad esempio le cause matrimoniali
o in materia di stato e capacità delle persone);                     
   
b)  se l’appello è proposto ai sensi dell’art. 702 quater e riguarda, pertanto, una
controversia decisa secondo le forme del procedimento sommario di
cognizione.
 
2.  Un’altra  modifica introdotta dal “decreto sviluppo” riguarda la forma
dell’appello. Infatti, ai sensi dell’art. 342 c.p.c. come modificato dalla legge di
riforma l’atto di appello deve contenere a pena di inammissibilità:
1)  l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle
modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal
giudice di primo grado;
2)  l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della
loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
 
3.  Da ultimo, un’ulteriore modifica in senso restrittivo della disciplina
dell’appello civile introdotta dalla legge di riforma riguarda la limitazione alla
produzione di mezzi di prova. Con la modifica apportata al terzo comma dell’art.
345 c.p.c. viene, infatti, soppressa la possibilità per il Collegio di ammettere i nuovi
mezzi di prova e i documenti ritenuti indispensabili ai fini della decisione della
causa. Ad oggi, dunque, l’unica eccezione al generale divieto di introdurre nuovi
mezzi di prova in grado di appello è, pertanto, costituita dai mezzi di prova e/o
documenti che la parte dimostri di non aver potuto proporre o produrre nel giudizio
di primo grado per causa ad essa non imputabile.
 
* * * * *
Le modifiche alla disciplina dell’appello civile introdotte dal “decreto sviluppo”
sono già in vigore.



NEWSLETTER MARZO 2013 - CORPORATE

LE START UP INNOVATIVE
 
Il Decreto Legge 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con modifiche dalla Legge n.
221/2012, ha introdotto, nell’ambito dell’ordinamento giuridico italiano, un sistema
di norme volto a   favorire la nascita e lo sviluppo di "nuove imprese innovative"
(cd. “start-up”).
Ai sensi dell’art. 25 del Decreto Legge, la start-up innovativa è una società di
capitali, costituita anche in forma di cooperativa, o una società europea avente sede
fiscale in Italia, le cui azioni o quote non sono quotate su un mercato regolamentato
o su un sistema multilaterale di negoziazione, che risponde a determinati requisiti e
ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente:
 
“lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di  prodotti o servizi
innovativi ad alto valore tecnologico”.
 
Si tratta di un provvedimento volto a favorire la crescita e lo sviluppo tecnologico
con un occhio di riguardo nei confronti dell'occupazione, in particolare quella
giovanile, nonché ad attrarre investimenti dall’estero.
Il legislatore ha quindi voluto tenere in una certa considerazione l’elevato rischio di
impresa assunto da coloro che investono in attività ad alto livello di innovazione.  
 
Al fine di incoraggiare questo tipo di società sono state previste una serie di
agevolazioni fiscali, di deroghe al diritto societario e di facilitazioni per quanto
riguarda la disciplina dei rapporti di lavoro.  
Condizione fondamentale per poter usufruire di tali benefici è che le imprese
vengano iscritte nell'apposita sezione speciale del Registro delle Imprese riservata
alle start-up innovative.
La legge richiede che la start-up possegga i seguenti requisiti:
a)  al momento della costituzione e nei 24 mesi successivi, la maggioranza del
capitale sociale e dei diritti di voto nell'assemblea ordinaria dei soci deve essere
detenuto da persone fisiche;
b)  deve essere costituita e svolgere attività d'impresa da non più di 48 mesi;
c)  deve avere la sede principale dei propri affari e interessi in Italia;
d)  a partire dal secondo anno di attività, il totale del valore della produzione annua,
così come risultante dall'ultimo bilancio, non deve superare i 5 milioni di euro
e)  non deve distribuire o aver distribuito utili;
f)  avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo,  la produzione e
la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore
tecnologico;                    
   
g)  non deve essere stata costituita per effetto di una fusione, scissione societaria o
a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.
 
Inoltre, la start-up deve soddisfare almeno uno dei seguenti criteri:
 
a)  le spese in ricerca e sviluppo sostenute dalla società devono essere uguali o
superiori al 20 per cento del maggiore valore fra costo e valore totale della
produzione. Le spese risultano dall'ultimo bilancio approvato ed in assenza di
bilancio nel primo anno di vita, la loro determinazione avviene tramite
dichiarazione sottoscritta dal legale rappresentante della start-up innovativa;
b)  deve impiegare come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in
percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva,
personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un
dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso
di laurea e che ha svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata
presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero;
c)  deve essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa
industriale relativa a una invenzione industriale, biotecnologica, a una
topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale
direttamente afferenti all'oggetto sociale e all'attività d'impresa.
 
Come anticipato, al fine di consentire una gestione più flessibile e dunque di
incoraggiare la  creazione di start-up innovative, il D.L. 18 ottobre 2012 n. 179
quindi ha introdotto le seguenti deroghe rispetto alla disciplina ordinaria prevista
dal diritto societario, soprattutto qualora le stesse siano costituite nella forma delle
S.r.l:
1.  la facoltà di posticipare al secondo anno di esercizio la riduzione del capitale
sociale nel caso di perdita superiore ad 1/3 e, nei casi di riduzione al di sotto del
minimo legale, di consentire il differimento della decisione sulla
ricapitalizzazione entro la chiusura dell’esercizio successivo;
2.  la possibilità di fare ricorso, anche per le start-up innovative costituite in forma
di S.r.l., ad istituti previsti solo per le S.p.A., come le categorie di quote di
partecipazione fornite di diritti differenti per cui alcune potranno essere prive di
diritti di voto o con diritti di voto non proporzionali alla partecipazione, o si
potrà decidere l’emissione di strumenti finanziari partecipativi;  
3.  che le quote di partecipazione in start-up innovative costituite in forma di S.r.l.
possono formare oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari in deroga al
divieto di cui all’art. 2468 co. 1 c.c.;
4.  la facoltà di deroga al divieto assoluto di operazioni sulle proprie partecipazioni
previsto dall’art. 2474 c.c. qualora l’operazione sia effettuata in attuazione di
piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di strumenti finanziari a                    
   
dipendenti, collaboratori, componenti dell’organo amministrativo o prestatori di
opere o servizi, anche professionali;
5.  facoltà di emettere strumenti finanziari  forniti di diritti patrimoniali o anche di
diritti amministrativi con esclusione del diritto di voto nelle decisioni dei soci.
 
Sempre in quest’ottica di incentivazione, altre particolarità sono state previste con
riferimento:
-  alla possibilità per la start-up, a differenza delle altre aziende, di essere
esonerata dal pagamento dell'imposta di bollo e dei diritti di segreteria dovuti
per l'iscrizione nel Registro delle Imprese nonché dal pagamento del diritto
annuale dovuto alle Camere di Commercio;
-  alla disciplina in materia di lavoro. La start-up potrà assumere personale con
contratti a tempo determinato  - della durata minima di 6 mesi e massima di 36
mesi   -  per il periodo di 4 anni dalla sua data di costituzione (articolo 25,
comma  2, D.L. n. 179/2012), ovvero per il più limitato periodo previsto dal
comma 3 del medesimo articolo 25 per le società già costituite. All'interno di
questo arco temporale, i contratti potranno essere anche di breve durata e
rinnovati più volte. Dopo 36 mesi, il contratto potrà essere ulteriormente
rinnovato una sola volta, per la durata residua rispetto al termine stabilito
dall’art. 28 comma 1 del D.L. n. 179/2012, a condizione che la stipulazione
avvenga presso la Direzione territoriale del lavoro.
La start-up potrà quindi remunerare i propri amministratori, dipendenti o
collaboratori continuativi con strumenti finanziari o con diritti e/o incentivi che
prevedono l’attribuzione dei predetti strumenti.
 
In ultimo, altre novità sono rappresentate, in particolare, dalla possibilità di
accedere in modo semplificato, gratuito e diretto al Fondo Centrale di Garanzia, un
fondo governativo che facilita l'accesso al credito attraverso la concessione di
garanzie sui prestiti bancari e dalla impossibilità per la start-up innovativa, per i
primi anni di vita, di essere soggetta a procedure concorsuali con l’eccezione dei
procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento e di liquidazione
del patrimonio.
 
Attraverso la riforma in questione, che si pone in scia con le altre novità introdotte
dai “Decreti Sviluppo”, il legislatore ha quindi cercato di dare nuovamente impulso
al sistema imprenditoriale sempre più in difficoltà; solo il tempo ci consentirà di
verificare se potranno considerarsi sufficienti al fine di fuoriuscire dalla presente
situazione di stagnazione.


NEWSLETTER TRIBUTARIO-FISCALE- MARZO 2013
            
CARTELLA DI PAGAMENTO: INTERESSI DI MORA PIÙ ALTI DAL 1°MAGGIO 2013
 
Dal prossimo 1° maggio 2013, scatta  l'aumento degli interessi di mora dovuti in
caso di ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo.
La misura degli interessi passa, infatti, dall'attuale 4,5504% al  5,2233% su base
annua.
A stabilire la nuova misura è stato il Provvedimento del direttore dell'Agenzia delle
Entrate del 4 marzo scorso, sulla base della media dei tassi bancari attivi.
 
QUADRO NORMATIVO
L’art. 30 del D.P.R. n. 602/1973 prevede che, decorsi 60 giorni dalla notifica della
cartella di pagamento, sulle somme iscritte a ruolo, si applicano gli interessi di mora
al tasso determinato annualmente con decreto del Ministero delle Finanze sulla base
della media dei tassi bancari attivi.  
Tali interessi si applicano solo alle somme iscritte a ruolo, non anche alle sanzioni
pecuniarie tributarie e agli interessi già indicati in cartella.  
Gli interessi di mora vanno calcolati “a partire dalla data della notifica della cartella
e fino alla data del pagamento”.  
Attualmente è in vigore il tasso del  4,5504%  in ragione annuale stabilito con
Provvedimento dell'Agenzia delle Entrate del 17 luglio 2012.
 
LA NUOVA MISURA
Considerato che, come detto, l’art. 30 del D.P.R. n. 602/1973 prevede una
determinazione annuale del tasso di interesse in questione, l'Agenzia delle Entrate ha
interpellato la Banca d’Italia che, con nota dell’8 Febbraio 2013, ha stimato al
5,2233% la media dei tassi bancari attivi con riferimento al periodo 1.1.2012-
31.12.2012.
Con Provvedimento del 4 marzo scorso, quindi, l'Agenzia delle Entrate ha fissato
alla suddetta misura del 5,2233% in ragione annuale il nuovo tasso degli interessi di
mora applicabili in caso di ritardato pagamento delle somme iscritte a ruolo a
seguito del corso dei 60 giorni dalla data di notifica della cartella di pagamento.
La nuova misura si applicherà a partire dal 1° maggio 2013.
 
Fino al 30 aprile resta fermo, invece, l'attuale tasso del 4,5504%.
Si osserva che, da quando è cominciata la crisi economica e finanziaria, i tassi degli
interessi di mora erano sempre diminuiti (dal 1° ottobre 2009 al 1° ottobre 2012 si
era passati dal 6,8358% al 4,5504%). Dal 1° maggio 2013, invece, si ha una prima
inversione di tendenza, con l'aumento del tasso al 5,2233%.                    
   
Per quanto riguarda, invece, gli interessi legali, si precisa che nel 2013 non è stato
apportato alcun cambiamento.  
Essi, pertanto, restano fermi al 2,5% su base annua, come stabilito a partire dal
2012.
 
*  *
 
DEDUCIBILITÀ AUTO AZIENDALI DIMEZZATA DAL 2013
 
La Legge di Stabilità per il 2013 ha ridotto dal 40% al 20% la percentuale di
deducibilità  ai fini delle imposte sui redditi, delle spese e degli altri componenti
negativi relativi ai  veicoli utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni
non esclusivamente come beni strumentali. Ciò con effetto dal 1° gennaio 2013.
 
Viene così di fatto superata, prima ancora della sua entrata in vigore, la misura
intermedia del 27,5% di deducibilità che era stata prevista dalla Riforma del mercato
del Lavoro (Legge n. 92/2012) a partire dal 2013.
La Legge di Stabilità non ha, invece, ulteriormente modificato la percentuale di
deducibilità  relativa ai  veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti,  che dal
2013,  per effetto della modifica apportata dalla  Riforma del Lavoro, passa  dal
90% al 70%.
Per completare il quadro, si segnala che sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale
le Tabelle ACI aggiornate al 2013 per il calcolo dei costi chilometrici di esercizio
per autovetture, motocicli e ciclomotori, utili per il calcolo del  fringe benefit  in
capo al dipendente a cui è concesso il veicolo in uso promiscuo.
 
DEDUCIBILITA’ FINO AL 2012
Ai fini delle imposte sui redditi, è  possibile, per le imprese e gli esercenti  arti e
professioni, dedurre i costi delle auto e degli altri veicoli utilizzati nell’esercizio
d’impresa, arte o professione. Si tratta delle spese sostenute per:
  CARBURANTI E LUBRIFICANTI
  TASSA DI PROPRIETA’
  ASSICURAZIONE RC AUTO
  PEDAGGI AUTOSTRADALI
  CUSTODIA
  MANUTENZIONI E RIPARAZIONI NON INCREMENTATIVE
  IVA INDETRAIBILE CORRISPOSTA AL MOMENTO DELL’ACQUISTO
DELLE AUTOVETTURE
 
Fino al periodo d'imposta 2012,  il regime di deducibilità di tali costi, stabilito
dall’art. 164, comma 1, del Tuir ante modifiche, prevedeva:                    
   
  la deduzione integrale (100%) delle spese e degli altri componenti negativi
sostenuti per:
  i veicoli destinati ad essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali,
laddove, per “beni strumentali”, l’Amministrazione finanziaria intende  quelli
senza i quali l’attività non può essere esercitata (è il caso, ad esempio, delle
autovetture possedute dalle imprese che effettuano attività di noleggio delle
stesse);
  i veicoli adibiti ad uso pubblico;
  la deduzione parziale al  40%  delle spese e degli altri componenti negativi
sostenuti per i  veicoli NON destinati ad essere utilizzati esclusivamente
come beni strumentali nell’attività d’impresa, arte o professione.
 
La percentuale di deducibilità si applica, per il  costo di acquisto, entro un
determinato  limite massimo di costo storico pari:
  in caso di acquisto o leasing, a:
  € 18.075,99  (ragguagliati ad anno in caso di leasing), per le autovetture e gli
autocaravan;
  € 4.131,66 (ragguagliati ad anno in caso di leasing) per i motocicli;
  € 2.065,83 (ragguagliati ad anno in caso di leasing) per i ciclomotori;
  in caso di locazione o noleggio:
  € 3.615,20 (ragguagliati ad anno), per le autovetture e gli autocaravan;
  € 774,69 (ragguagliati ad anno) per i motocicli;
  € 413,17 (ragguagliati ad anno) per i ciclomotori.
 
Nel caso di esercizio di arte o professione, il limite di deducibilità deve intendersi
per un solo veicolo, se l’attività è svolta individualmente,  ovvero per un solo
veicolo per ogni socio o associato  se l’attività è svolta sotto forma di società
semplice o di associazione.
  la deduzione parziale all’80%  delle spese e degli altri componenti negativi
sostenuti per i veicoli utilizzati da agenti e rappresentanti di commercio, con
il  limite massimo di spesa su cui applicare tale percentuale pari a € 25.822,84
per le autovetture;
  la deduzione parziale al  90%  delle spese e degli altri componenti negativi
sostenuti per i veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior
parte del periodo d’imposta.
 
DEDUCIBILITA’ AUTO DAL 2013
 
La Riforma del Lavoro (art. 4, comma 72, Legge n. 92/2012) ha modificato l’art.
164, comma 1, lett. b) del Tuir, diminuendo dal 40% al  27,5%  la percentuale di
deducibilità, ai fini delle imposte sui redditi, delle  spese  e degli altri componenti                    
   
negativi relativi ai  veicoli  (autovetture, autocaravan, ciclomotori e motocicli)
utilizzati nell'esercizio di imprese, arti e professioni.
Per i veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti, poi, la deducibilità è stata
abbassata dal 90% al 70%.
 
La percentuale di deducibilità  resta, invece, all’80%  per i  veicoli  utilizzati da
agenti e rappresentanti di commercio.
 
Le nuove norme introdotte dalla Riforma del lavoro sarebbero dovute entrare in
vigore dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in
vigore della legge (18.07.2012), quindi  dal 2013  per i soggetti con periodo
d'imposta coincidente con l'anno solare.
Tuttavia, prima  ancora dell'entrata in vigore  delle nuove norme,  la percentuale
del 27,5% di deducibilità dei costi dei veicoli aziendali che era stata prevista dalla
Riforma del mercato del Lavoro a partire dal 2013, è stata ulteriormente abbassata
al 20%  ad opera della  Legge di Stabilità 2013  (art. 1, comma 501, Legge n.
228/2012), sempre a partire  dal 1° gennaio 2013. Da tale data, quindi, la
percentuale di deducibilità dei costi dei veicoli aziendali è passata direttamente dal
40% al 20%, senza passare per la misura intermedia del 27,5%  inizialmente
prevista dalla Riforma del lavoro.
 
Restano  ferme, invece,  le altre misure  previste (80%  per  i veicoli utilizzati da
agenti e rappresentanti di commercio  e  100%  per i veicoli utilizzati
esclusivamente come beni strumentali e per quelli adibiti ad uso pubblico).
 
EFFETTI SUGLI ACCONTI D’IMPOSTA
 
Gli  acconti  d’imposta relativi al  2013  dovranno essere  ricalcolati (in sede di
UNICO 2013) assumendo, come imposta del periodo precedente (metodo storico)
quella che si sarebbe determinata applicando le nuove disposizioni.
 
E’ fatta salva la possibilità di ricorrere al calcolo degli acconti in base al metodo
previsionale, tenendo, però, presente che, in caso di stima errata in difetto, sarà
applicata la sanzione pari al 30% del minor acconto versato.
 
RICALCOLO
ACCONTI 2013
Assumendo, come imposta del periodo
precedente (METODO STORICO),
quella che si sarebbe determinata
applicando le nuove disposizioni                    
   
 
IRRILEVANZA AI FINI DELLA DETRAIBILITÀ DELL'IVA
 
E’ bene precisare che le nuove regole di deducibilità dei costi dei veicoli aziendali in
vigore dal 2013 riguardano esclusivamente la determinazione del reddito ai fini delle
imposte sui redditi, e non anche la detraibilità dell’Iva, la quale resta ferma alle
seguenti percentuali:
 
DETRAIBILITA' IVA VEICOLI UTILIZZATI
NELL'ESERCIZIO DI IMPRESA, ARTE O
PROFESSIONE
VEICOLI
UTILIZZATI
ESCLUSIVAMENTE
COME BENI
STRUMENTALI  100%
VEICOLI DEGLI
AGENTI E
RAPPRESENTANTI
DI COMMERCIO  100%
TUTTI GLI ALTRI
CASI  40%
 
I CONTRIBUENTI MINIMI
 
Le nuove disposizioni in  tema di deducibilità dei costi delle auto non si applicano
ai contribuenti in regime dei minimi (in vigore dal 2008 e modificato dal D.L. n.
98/2011). Essi, infatti,  continueranno a dedurre i costi  delle auto e degli altri
veicoli utilizzati promiscuamente nell’esercizio di impresa, arte o professione nella
misura del 50%, comprensivo dell’Iva  per la quale non può essere esercitato il
diritto alla detrazione. La Circolare n. 7/E/2008 ha, infatti, precisato che le regole di
deducibilità per i contribuenti minimi sono svincolate dalle regole del Tuir. Di
conseguenza, le nuove regole sulla deducibilità dei costi delle auto, essendo
intervenute a modifica dell’art. 164 del Tuir, non possono riguardare i contribuenti
minimi.
La deduzione del 50% è molto conveniente anche perché si applica il principio di
cassa, pertanto il costo storico di acquisto va dedotto al 50% già nell’esercizio di
sostenimento del costo stesso. Per le auto dei minimi, inoltre,  non è applicabile
neanche il limite del costo di acquisto fiscalmente rilevante di € 18.075,99.
La deducibilità al 50% per i minimi è prevista anche  in caso di beni strumentali
all’attività  solo in parte utilizzati nell’attività  di impresa o di lavoro autonomo
(come, appunto, le autovetture), come si deduce dalle Circolari n. 73/E/2007 (par.                    
   
2.1) e n. 7/E/2008 (par. 2.8). Come noto, infatti, una delle condizioni di accesso al
regime dei minimi è non aver acquistato, anche mediante contratti di appalto e di
locazione, nei tre anni precedenti a quello di entrata nel regime, beni strumentali di
valore complessivo superiore a 15.000 euro.  
Le due Circolari affermano che:
 
“Per esigenze di semplificazione…, si ritiene che  i beni strumentali solo in
parte utilizzati nell’ambito dell’attività  di impresa o di lavoro autonomo  
esprimano un valore pari al 50 per cento dei relativi corrispettivi.”
(par. 2.1 – “Condizioni di accesso al regime”, della Circolare n. 73/E/2007).
 
“I beni strumentali ad uso promiscuo (autovetture e telefonini) rileveranno ai
fini della determinazione del valore complessivo degli acquisti di beni
strumentali (15.000 euro) in misura pari al  50 per cento dei relativi
corrispettivi, al netto dell’eventuale Iva indetraibile….  a prescindere da
eventuali diverse percentuali di deducibilità contenute nel TUIR…Si
presumono comunque  ad uso promiscuo  tutti i beni a deducibilità limitata
indicati negli articoli 164 e 102, comma 9, del TUIR (ad esempio autovetture,
autocaravan, ciclomotori, motocicli, e telefonia)”.
(par. 2.8 – “Beni strumentali”, della Circolare n. 7/E/2008)
 
 
I beni utilizzati dal contribuente minimo in comodato d’uso gratuito non possono
considerarsi beni strumentali per la cui acquisizione sia dovuto un corrispettivo. Gli
stessi non rilevano, pertanto, ai fini della determinazione del  valore complessivo
dei beni strumentali. Ciò non incide, però, sulla possibilità di dedurre il 50% dei
costi di impiego del bene utilizzato nell’esercizio dell’attività, se sono sostenuti dal
comodatario.
 
CONTRIBUTO SSN
E' opportuno ricordare che, alla riduzione della deducibilità dei costi delle auto
aziendali sopra esaminata, si deve aggiungere un’ulteriore novità apportata dalla
Riforma del Lavoro in merito alle auto, cioè la  franchigia di € 40 alla deduzione
del contributo al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) pagato dai contribuenti sui
premi RC auto. In sostanza, viene stabilito che il contributo SSN diventa
deducibile dal reddito complessivo del contribuente solo per la parte che eccede €
40.  La nuova norma si applica  già a decorrere dal periodo d’imposta 2012,
pertanto avrà effetto già nella prossima dichiarazione dei redditi (UNICO 2013  –
redditi 2012).
                    
   
IL CREDITO D’IMPOSTA PER IL RIACQUISTO PRIMA CASA
 
La gestione e la  fruizione del  credito d’imposta per la prima casa  presuppone,
prima di tutto, l’alienazione della casa precedentemente acquistata con le
agevolazioni “prima casa”. Lo scopo del legislatore è quello di  favorire, attraverso
la concessione di un credito d’imposta, senza ulteriore aggravio fiscale,  la
sostituzione di un immobile acquistato usufruendo del beneficio “prima casa”.
Nel corso della presente trattazione, dopo una breve analisi delle condizioni
necessarie per usufruire delle agevolazioni prima casa,  verranno esaminati i
presupposti del credito d’imposta  oltre alle diverse possibilità di fruizione del
credito stesso.
Le agevolazioni fiscali “prima casa” consistono nell’applicazione:
-dell’Iva al 4% (se cessione soggetta ad Iva);
-dell’imposta di registro al 3% (se cessione è esclusa o esente Iva) in luogo del
7%;
- e delle  imposte ipotecaria e catastale  in misura fissa  pari ad euro 168,00
ciascuna.
 
L’agevolazione “prima casa” riguarda esclusivamente le abitazioni non di lusso e
relative pertinenze e si applica ai seguenti atti:
- trasferimenti a titolo oneroso della piena proprietà;
-trasferimenti o costituzione a titolo oneroso dei diritti della nuda proprietà,
usufrutto, uso e abitazione;
-atti equiparati ai trasferimenti  ai fini dell’imposta di registro, come ad
esempio compravendite, permute…
In merito ai trasferimenti a titolo gratuito l’agevolazione fiscale in oggetto spetta se
in capo al beneficiario dell’atto sussistono i requisiti e le condizioni “prima casa” ed
è limitata alle sole imposte ipotecarie e catastali.
 
I  requisiti dell’immobile  per poter fruire dell’agevolazione in esame, sono i
seguenti:
-abitazione non di lusso,
-abitazione ubicata nel Comune in cui l’acquirente ha o intende stabilire la
residenza entro 18 mesi;
-abitazione ubicata nel Comune  in cui l’acquirente svolge la propria attività
ovvero se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o
esercita l’attività il soggetto da cui dipende;
- non titolarità esclusiva di altra abitazione nel Comune in cui si trova l’immobile
da acquistare;
-non titolarità di altra abitazione situata nel territorio dello Stato acquisita con
agevolazione prima casa.                    
   
Possono usufruire  dell’agevolazione  solo le persone fisiche  indipendentemente
dalla loro nazionalità.
 
DECADENZA AGEVOLAZIONE
L’acquirente decade dai benefici  fiscali e deve corrispondere oltre alle imposte
in misura ordinaria, la sanzione pari al 30% delle stesse, più interessi di mora se:
-rilascia dichiarazione mendace  (ad esempio in merito al tipo e ubicazione
dell’immobile trasferito);
- non trasferisce entro 18 mesi la residenza nel Comune  in cui è situato
l’immobile acquistato;
- venda o doni l’abitazione prima dei 5 anni dall’acquisto, a meno che non
riacquisti, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad
abitazione principale, con attribuzione di un credito d’imposta.
 
PRESUPPOSTI PER L’AGEVOLAZIONE
I presupposti necessari per la fruizione del credito d’imposta  per il riacquisto
della prima casa sono i seguenti:
1. la casa precedentemente acquistata  con la fruizione dell’agevolazione  deve
essere alienata;
2. l’alienazione  di detta casa  può essere effettuata a qualsiasi titolo, cioè sia a
titolo oneroso sia a titolo gratuito (in quest’ultimo caso a condizione che per tale
acquisto sia dovuta l’imposta di registro o l’iva);
3. l’acquisto del primo immobile  abitativo  deve essere avvenuto con
l’agevolazione prima casa  e al momento della sua alienazione non deve essere
intercosa alcuna revoca né sia intervenuta alcuna decadenza in merito alla
richiamata agevolazione;
4. entro un anno dall’alienazione della prima abitazione deve essere effettuato
un riacquisto di una nuova unità abitativa  alle condizioni di cui alla nota II-bis  
all’art. 1 della Tariffa, Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131/1986, quindi  alle
condizioni per essere considerata prima casa. Può avere ad oggetto i seguenti diritti
a prescindere dal titolo di acquisto della precedente abitazione:
a. piena proprietà;
b. nuda proprietà;
c. usufrutto;
d. uso;
e. abitazione.
 
E’ irrilevante il costo di acquisto del nuovo immobile, potendo essere sia inferiore
che superiore a quello della prima abitazione.
Il momento in cui sorge il credito d’imposta secondo l’Agenzia delle entrate
(Circolare ministeriale n. 19/E del 1 marzo 2011) è quello di formazione dell’atto di
riacquisto del nuovo immobile e non della sua registrazione.                    
   
Qualora l’acquisto avvenga tramite appalto il credito sorge all’ultimazione dei
lavori.
Per riacquisto deve intendersi la sottoscrizione con effetti traslativi della proprietà
dell’immobile. Sono irrilevanti quindi:
-sottoscrizione di un preliminare  (in quanto non ha effetti “reali” di
trasferimento della proprietà, ma determina il sorgere di obbligazioni da parte di
entrambe le parti contrattuali) anche se parte della dottrina ha assunto una
posizione contraria consentendo il beneficio anche con la semplice
sottoscrizione del preliminare;
-versamento del saldo del prezzo;
-emissione della fattura da parte del cedente.
Quindi ad esempio la stipula dell’atto di riacquisto dopo l’anno preclude la nascita
del credito d’imposta, indipendentemente dal fatto che entro l’anno fosse stato
pagato o fatturato l’intero prezzo.  
 
AMMONTARE DEL CREDITO D’IMPOSTA E UTILIZZO
 
Il credito d’imposta è pari all’imposta di registro o all’Iva corrisposta sulla
prima abitazione usufruendo dell’agevolazione “prima casa”.
L’ammontare del credito non può mai essere superiore all’imposta di  registro o
all’Iva dovuta per la seconda abitazione. Quindi la misura del credito d’imposta è
il minore importo tra:
- imposta di registro e iva corrisposte nel primo acquisto;
- imposta di registro e iva corrisposte nel secondo acquisto.
Il contribuente può fruire del credito d’imposta:
- in diminuzione dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale  dovute sulla
nuova abitazione richiedendo nell’atto di acquisto di voler fruire
dell’agevolazione mediante l’istituto della compensazione. In tal caso il credito
d’imposta non può essere utilizzato parzialmente;
-in diminuzione delle imposte sui redditi in sede di dichiarazione.
L’eventuale eccedenza di credito può essere utilizzata per i versamenti
successivi;
- in compensazione  ai sensi dell’articolo 17 del D.Lgs. n. 241/97 nel modello
F24.
Non è ammesso invece il rimborso di tale credito d’imposta.
In merito al  codice tributo da utilizzare  in compensazione la Risoluzione
Ministeriale n. 125 del 23 luglio 1999 ha previsto il codice 6602, mentre nel campo
“periodo di riferimento” va indicato l’anno di acquisto del secondo immobile.
 
MANCATO ACQUISTO IMMOBILE ENTRO UN ANNO DALLA CESSIONE              
   
Nella Risoluzione n. 112/E del 27 dicembre 2012 l’Agenzia delle Entrate precisa
che nel caso in cui contribuente, dopo aver ceduto l’immobile “agevolato” non vuole
o non può acquistare un altro immobile, ed è ancora pendente il termine di un anno
per l’acquisto di altro immobile da adibire ad abitazione principale, può comunicare
la sua scelta all’Amministrazione finanziaria attraverso  un’istanza finalizzata alla
riliquidazione dell’imposta.
 
L’Ufficio delle Entrate emetterà un avviso di liquidazione per la maggior imposta e i
relativi interessi di mora, ma  non addebiterà le sanzioni  (30% della differenza tra
imposta agevolata e ordinaria) in quanto la presentazione dell’istanza avviene entro
il termine di 1 anno in cui il contribuente potrebbe acquistare un nuovo immobile,
non c’è quindi alcuna causa di decadenza dall’agevolazione.
Se invece decorso tale termine annuale, il contribuente non ha acquistato
l’immobile, e presenta l’istanza, l’Agenzia  delle entrate  emetterà avviso di
liquidazione per maggior imposta e interessi di mora, ma  applicherà anche le
sanzioni, ridotte per concessione del ravvedimento operoso.
 
 
NEWSLETTER LABOUR - MARZO 2013

 
INDICE:
 
I.  GIURISPRUDENZA                      
1. Mansioni inferiori e prevalenza nello svolgimento
2. Contestazione disciplinare e requisito dell’immediatezza  
3.  Prova della perdita del rapporto fiduciario in caso di licenziamento
4. Assenza ingiustificata di breve durata e licenziamento
5. Malattia e diritto di difesa in un procedimento disciplinare
6. Retribuzione sempre collegata alla prestazione
7.  Infortuni sul lavoro: la colpa del dipendente non libera il datore
8. Licenziamento del dipendente assente: attività incompatibile con la patologia dichiarata
9. La limitazione del licenziamento nel codice disciplinare
10.  Efficacia probatoria della sentenza di patteggiamento
11.  Infortuni sul lavoro: il datore può rispondere di lesioni colpose
 
II.   INTERPELLI E CIRCOLARI                         
1.  Apprendistato
2.  Congedo obbligatorio parentale e voucher a sostegno della genitorialità
3.  Chiarimenti in materia di responsabilità solidale dell’appaltatore in materia fiscale
 
III. ADEMPIMENTI                       
1.  INAIL: la denuncia/comunicazione di infortunio sul lavoro dal 1° luglio 2013 è esclusivamente
on line
 
 
I. GIURISPRUDENZA
 
1.  MANSIONI INFERIORI E PREVALENZA NELLO SVOLGIMENTO
(CASS. CIV., SENTENZA N. 4301 DEL 21 FEBBRAIO 2013)
 
La Cassazione ha ritenuto possibile assegnare ad un lavoratore mansioni inferiori alla qualifica
posseduta, purché non prevalenti, precisando che "è legittima l’adibizione a mansioni inferiori
del dipendente per esigenze di servizio allorquando è assicurato in modo prevalente ed
assorbente l’espletamento di quelle concernenti la qualifica di appartenenza"; inoltre,
"l'espletamento delle mansioni inferiori, in quanto implicanti un impiego di energie lavorative
di breve durata, non incidono sullo svolgimento in modo prevalente delle mansioni di
appartenenza".
 
 
2.  CONTESTAZIONE DISCIPLINARE E REQUISITO DELL’IMMEDIATEZZA
(CASS. CIV., SENTENZA N. 3062 DELL’8 FEBBRAIO 2013)
 
La Cassazione ha affermato che il requisito dell’immediatezza, riferito alla contestazione
disciplinare ex art. 7 della legge n. 300/1970, va declinato con le dimensioni dell’impresa, nel
senso che in un’azienda strutturata sul territorio e con diversi livelli decisionali, la
contestazione dell’illecito può intervenire dopo un intervallo temporale non necessariamente
immediato.
Il requisito della tempestività va, quindi, rapportato all’organizzazione dell’impresa ed alle
forme di controllo in essere presso la stessa.
 
 
3.  PROVA DELLA PERDITA DEL RAPPORTO FIDUCIARIO IN CASO DI LICENZIAMENTO
(CASS. CIV., SENTENZA N. 3912 DEL 18 FEBBRAIO 2013)
 
L’azienda è tenuta a provare che un determinato comportamento ha infranto il rapporto
fiduciario.
La Suprema Corte ha così ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente per il solo fatto
che aveva patteggiato una pena. Dunque, la sentenza  di patteggiamento non può essere
equiparata ad una condanna ai fini disciplinari e non esonera il datore di lavoro dall’indagine
ulteriore circa l’idoneità dei fatti a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario con il
lavoratore.
 
 
4.  ASSENZA INGIUSTIFICATA DI BREVE DURATA E LICENZIAMENTO
(CASS. CIV., SENTENZA N. 3179 DELL’11 FEBBRAIO 2013)
 
La Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente accusato di essersi
allontanato per un breve lasso di tempo (3 ore), senza una giustificazione, dal luogo di lavoro.
La Suprema Corte ha rilevato che la mancanza nella condotta del dipendente “non integrava un
inadempimento di gravità tale da giustificare il licenziamento”, considerata “l'oggettiva entità
della durata della mancata prestazione lavorativa e della connessa assenza ingiustificata dal
posto di lavoro», la «mancanza nella lettera di contestazione dell'indicazione di concreti
elementi atti a connotare la condotta del dipendente in termini fraudolenti”.
 
 
5.  MALATTIA E DIRITTO DI DIFESA IN UN PROCEDIMENTO DISCIPLINARE
(CASS. CIV., SENTENZA N. 3058 DELL’8 FEBBRAIO 2013)
 
 
La Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare emesso senza la preventiva
audizione del lavoratore, il quale, per motivi "depressivi", aveva più volte procrastinato
l'incontro.
La Suprema Corte ha evidenziato come l'indisponibilità ripetuta per motivi di salute non
dovesse essere usata dal lavoratore come mezzo dilatorio per rimandare sistematicamente il
provvedimento disciplinare e paralizzare, così, il potere disciplinare del datore di lavoro.
Infatti, "nulla si poteva obiettare alla Società appellante che si era mostrata sempre disponibile
(per ben quattro volte) affinché l’appellato potesse esercitare il diritto di difesa"; inoltre, la
malattia (stato depressivo) "non appariva, in concreto, aver impedito fisicamente al lavoratore
di effettuare il colloquio, né di ragguagliare adeguatamente il rappresentante sindacale sulle
giustificazioni da fornire rispetto ai fatti contestati".
 
6.  RETRIBUZIONE SEMPRE COLLEGATA ALLA PRESTAZIONE  
(CASS. CIV., SENTENZA N. 2760 DEL 6 FEBBRAIO 2013)
 
La Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare per giusta causa di un
lavoratore che non aveva ripreso la propria attività lavorativa dopo un periodo di ferie.
La Corte ha ritenuto legittima la mancata corresponsione della retribuzione nel periodo non
lavorato intercorrente tra la contestazione dell'inadempienza e il provvedimento espulsivo,
precisando che "al dipendente che sospenda volontariamente  l’esecuzione della prestazione
lavorativa, finché non provveda nuovamente a mettere a disposizione la stessa ... determinando
una  mora accipiendi  del datore di lavoro, non è dovuta la retribuzione, atteso che, in
applicazione della regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni, quest’ultima
spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene effettivamente eseguita, salvo che il datore di
lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei confronti del dipendente".
 
 
7.   INFORTUNI SUL LAVORO: LA COLPA DEL DIPENDENTE NON LIBERA IL DATORE
(CASS. CIV., SENTENZA N. 2512 DEL 4 FEBBRAIO 2013)
 
Il datore di lavoro è sempre responsabile, in caso di infortunio sul lavoro, anche nel caso in cui
la condotta del lavoratore sia stata colposa.
Il comportamento, seppur colposo, del dipendente, infatti, non è tale da liberare dalle proprie
responsabilità il datore di lavoro.
Richiamando precedenti in materia, i Giudici di legittimità hanno precisato che “il datore di
lavoro, in caso di violazione delle  norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, è
interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso
di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo
nonostante la sua imprudenza o negligenza; pertanto, la condotta imprudente del lavoratore
attuativa di uno specifico ordine di servizio, integrando una modalità dell'iter produttivo del        danno imposta dal regime di subordinazione, va addebitata al datore di lavoro, il quale, con
l'ordine di eseguire un'incombenza lavorativa pericolosa, determina l'unico efficiente fattore
causale dell'evento dannoso”.
 
 
8.   LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE ASSENTE: ATTIVITA’ INCOMPATIBILE
CON LA PATOLOGIA DICHIARATA CASS. CIV. SENTENZA N. 4559 DEL 22 FEBBRAIO
2013)
 
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4559 del 22 febbraio 2013, ha ritenuto legittimo il
licenziamento del lavoratore che, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, era
andato a caccia con gli amici.  
Tale attività, per le modalità con cui si svolge, risultava, infatti, incompatibile con la patologia
dichiarata per giustificare l’assenza dal lavoro.  
Secondo la Suprema Corte un dipendente che si assenta dal proprio domicilio durante il periodo
di malattia, può essere licenziato dal proprio datore di lavoro, se la condotta del lavoratore
costituisce violazione del generale dovere di correttezza e buona fede, nonché degli specifici
obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.  
Ed ancora, la valutazione della gravità dell’inadempimento del dipendente deve avvenire alla
luce di due diverse circostanze, ovvero i) lo svolgimento da parte del lavoratore di una attività
esterna, nel caso di specie l’andare a caccia con gli amici, deve essere sufficiente già di per sé a
far supporre che non ci sia mai stata malattia, e  ii)  la stessa attività, svolta dal lavoratore
durante l’assenza per malattia, deve poter ritardare la tempestiva guarigione dello stesso,
posticipandone così il rientro al lavoro.
La Corte ha così ribadito un orientamento già noto in sede di legittimità: è legittimo il
licenziamento nell’ipotesi in cui la pratica di un’altra attività ad opera del lavoratore, durante
l’assenza per malattia, non solo risulta essere incompatibile con la patologia dichiarata per
giustificare la sospensione del rapporto di lavoro per malattia, ma è anche indice di una certa
svogliatezza nei confronti della propria salute, ritardando una pronta guarigione.
 
 
9.   LA LIMITAZIONE DEL LICENZIAMENTO NEL CODICE DISCIPLINARE
(CASS. CIV., SENTENZA N. 4197 DEL 20 FEBBRAIO 2013)
 
I Giudici di legittimità hanno ritenuto che non si possa ritenere legittimo il licenziamento per
abbandono del posto di lavoro se il codice disciplinare aziendale richiede, per rendere lecito
l'atto del  datore di lavoro, una condizione in più, vale a dire che il comportamento del
lavoratore abbia determinato un danno o pericolo all'azienda o a persone e tale presupposto
manchi nel caso specifico.
 
 
10.   EFFICACIA PROBATORIA DELLA SENTENZA DI PATTEGGIAMENTO  
(CASS. CIV., SENTENZA N. 2168 DEL 30 GENNAIO 2013)
 
In sede civile può legittimamente attribuirsi piena efficacia probatoria alla sentenza di
patteggiamento, atteso che in tal caso l’imputato non nega la propria responsabilità ed accetta
una determinata condanna, chiedendone o consentendone l’applicazione.
Ben può, pertanto, il giudice di merito, ai fini del proprio convincimento, autonomamente
valutare le risultanze delle indagini preliminari, quand’anche assunte in assenza del vaglio  
critico del dibattimento ove il procedimento penale sia stato definito ai sensi dell’art. 444 c.p.p.,
e ritenere che i fatti oggetto delle stesse, per il forte disvalore sociale che li contraddistingue,
costituiscano violazione dei doveri fondamentali scaturenti dal rapporto di lavoro e, pertanto,
legittimanti il recesso del datore di lavoro senza preavviso.
Queste le conclusioni  cui giunge la Corte di Cassazione, che, nella sentenza in oggetto, ha
evidenziato l’erroneità della tesi di chi voglia ritenere che gli effetti del patteggiamento
debbano ontologicamente differenziarsi da quelli della sentenza ordinaria, salvo deroghe
espressamente rimesse alla discrezionalità del legislatore.
La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce indiscutibile
elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia
probatoria, ha il dovere di spiegarne le ragioni.
 
11.  INFORTUNI SUL LAVORO: IL DATORE PUÒ RISPONDERE DI LESIONI COLPOSE
(CASS. CIV., SENTENZA N. 11062 DELL'8 MARZO 2013)
 
La Corte di Cassazione ha affermato che "in tema di reati colposi, la causalità si configura non
solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma a contenuto cautelare violata
avrebbe certamente evitato l'evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma
anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare
il danno".
Secondo i Giudici di legittimità, nel caso sottoposto al loro vaglio, l'infortunio è riconducibile
alla mancata valutazione dei rischi che, qualora eseguita, avrebbe consentito di prevedere
modalità operative tali da ridurre lo stress da lavoro ripetitivo.
 
 
II. INTERPELLI E CIRCOLARI
 
1.  APPRENDISTATO
(INTERPELLO DEL MINISTERO DEL LAVORO N. 4/2013 5 FEBBRAIO 2013)
 
Il Consiglio Nazionale dell’ordine dei Consulenti del Lavoro ha presentato istanza di interpello
al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la richiesta di chiarimenti in ordine alla
possibilità di sottoscrivere un contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere nei
casi in cui un’azienda “non applichi un CCNL, bensì un contratto individuale plurimo e, nel
settore di attività della stessa manchi, altresì un accordo interconfederale che regolamenti la
materia”.
 
Il Ministero, sul presupposto che ai fini dell’applicazione dell’istituto in esame il D.Lgs n.
167/2011 prevede un necessario intervento della contrattazione collettiva, afferma che al fine di
non ostacolare il ricorso all’istituto, in assenza di un contratto collettivo proprio del settore di
appartenenza o nel caso in cui il datore di lavoro applichi un contratto collettivo che non abbia
disciplinato l’apprendistato, ritiene possibile che lo stesso datore possa far riferimento ad una
regolamentazione contrattuale di settore  affine per individuare sia i profili normativi che
economici dell’istituto.
 
 
2.   CONGEDO OBBLIGATORIO PARENTALE E VOUCHER A SOSTEGNO DELLA GENITORIALITÀ
(MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, DECRETO DEL  22 DICEMBRE  2012
PUBBLICATO SULLA GAZZETTA UFFICIALE N. 37 DEL 13 FEBBRAIO 2013)
 
La Legge 92/2012, ai commi 24, 25 e 26 dell’articolo 4, ha previsto due misure volte a
sostenere la genitorialità, che avranno carattere sperimentale per gli anni 2013-2015:
 
1) congedo obbligatorio (non frazionabile ad ore) per i padri
 
Il padre lavoratore dipendente ha l’obbligo, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, di
astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno; entro il medesimo periodo può astenersi per
ulteriori due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in
relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima.
Per questi giorni di astensione viene riconosciuta un’indennità giornaliera  a carico dell’Inps
pari al 100% della retribuzione per il periodo di due giorni goduto in sostituzione della madre e
un’indennità pari al 100% della retribuzione per il giorno di astensione obbligatorio sopra
indicato.  
Il padre lavoratore deve però dare, con preavviso di almeno quindici giorni, comunicazione in
forma scritta al datore di lavoro dei giorni prescelti per astenersi dal lavoro.
Rispetto alla normativa precedente ciò che cambia è l’obbligatorietà.  
Infatti, prima della riforma, in occasione della nascita del figlio, il lavoratore avrebbe dovuto
assentarsi dal lavoro in via facoltativa, facoltà che rappresentava spesso un deterrente della
richiesta al datore di lavoro.
 
2)  voucher INPS
 
Questa seconda misura consiste nella corresponsione di voucher Inps alla madre lavoratrice per
l’acquisto di servizi di baby-sitting finalizzati a far fronte agli oneri della rete  pubblica dei
servizi per l’infanzia o dei servizi analogamente offerti da strutture private convenzionate di cui
usufruire, in alternativa al congedo parentale, al termine del periodo di congedo di maternità e
per gli undici mesi successivi.  
Si tratta di 300 euro netti al mese per un semestre.
Il contributo può essere richiesto anche dalle madri che hanno già utilizzato parte del congedo
parentale (il periodo facoltativo) e dalle lavoratrici  part time (la cifra in questo caso viene
ridotta).      
Sono escluse dai voucher le madri che beneficiano già dell’esenzione del pagamento della retta
o godono dei contributi del Fondo per le politiche di pari opportunità.
Il beneficio, si legge nel decreto, sarà riconosciuto sulla base di una graduatoria nazionale che
terrà conto della situazione economica equivalente del nucleo familiare (Isee) e, in seconda
battuta, dell’ordine di presentazione.  
L’utilizzo di un mese di voucher comporta la riduzione di un mese del congedo parentale.
 
 
3.   CHIARIMENTI IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ  SOLIDALE DELL’APPALTATORE IN MATERIA
FISCALE  
(AGENZIA DELLE ENTRATE, CIRCOLARE 1° MARZO 2013, N. 2)
 
Con la presente circolare l'Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori  chiarimenti in merito
all’ambito applicativo della novella normativa in tema di responsabilità solidale in materia di
appalto.
 
→  Dato normativo: l'articolo 13 ter del D.L. 2 giugno 2012 n. 83  (cd. decreto crescita)  -
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 – ha sostituito integralmente il
comma 28 dell’articolo 35 del D.L. n. 223 del 2006 ed ha aggiunto i commi 28-bis e 28-ter.
→ Dato testuale: la norma ha introdotto la responsabilità dell’appaltatore con il subappaltatore
per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali sui redditi di lavoro dipendente e dell’imposta
sul valore aggiunto dovuta dal subappaltatore in relazione alle prestazioni effettuate nell’ambito
del rapporto, nei limiti dell’ammontare del corrispettivo dovuto.  
In capo al committente, è stata prevista una sanzione amministrativa pecuniaria - da 5.000,00 a
200.000,00 euro - nel caso in cui lo stesso provveda ad effettuare il pagamento all’appaltatore
senza che questi abbia esibito la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla
data del pagamento del corrispettivo, siano stati correttamente eseguiti, eventualmente anche
dal subappaltatore.  
Tale responsabilità, comunque, è limitata all’ipotesi in cui, pur in assenza della presentazione
della documentazione, tali versamenti non risultino eseguiti dall’appaltatore o dall’eventuale
subappaltatore.  
La documentazione può consistere anche nella asseverazione rilasciata da CAF o da
professionisti abilitati
 
→  Circolare n. 40/E del 2012: l'Agenzia delle Entrate, nel fornire i primi chiarimenti, ha
ritenuto valida, in alternativa alle asseverazioni prestate dai CAF e dai professionisti abilitati, la
presentazione di una dichiarazione sostitutiva - resa ai sensi del DPR n. 445 del 2000 - con cui
l’appaltatore/subappaltatore attesti l’avvenuto adempimento degli obblighi richiesti dalla
disposizione.
La medesima circolare ha precisato, inoltre, che la norma si applica ai contratti di
appalto/subappalto stipulati a decorrere dal 12 agosto 2012.
→  Circolare n. 2 del 1° marzo 2013 (in oggetto): l'Agenzia delle Entrate ha chiarito
l'applicabilità della normativa citata, fissando i seguenti principi:
 
  la responsabilità solidale si applica in tutti i settori economici e non soltanto nel settore  
dell'edilizia (come faceva supporre il titolo I del D.L. n. 83 del 2012);a normativa si
riferisce  alle sole fattispecie riconducibili al contratto di appalto come definito
dall’articolo 1655 del codice civile, secondo cui l’appalto è “… il contratto col quale
una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e congestione a proprio
rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”,
con l'esclusione, pertanto, delle tipologie contrattuali diverse dal contratto di appalto di
opere e servizi (nello specifico, contratti d'opera di cui all'articolo 2222 c.c.,  appalti di
fornitura dei beni,  contratti di trasporto di cui agli articoli 1678 e ss., contratti di
subfornitura disciplinati dalla legge 18 giugno 1998, n. 192, prestazioni rese nell’ambito
del rapporto consortile).
  la responsabilità solidale si applica sia nell’ipotesi in cui vi sia un contratto di
subappalto, che presuppone la coesistenza di almeno tre soggetti economici distinti
(committente, appaltatore e subappaltatore), sia nella ipotesi in cui l’appaltatore
provveda direttamente alla realizzazione dell’opera affidatagli dal committente;
  sono soggetti alla nuova disciplina tutti i contratti (non solo stipulati ma anche rinnovati
a decorrere dal 12 agosto 2012) per i pagamenti effettuati dall'11 ottobre 2012;
  la certificazione attestante la regolarità dei versamenti delle ritenute sui redditi di lavoro
dipendente e dell’IVA relativi al contratto d’appalto, può essere rilasciata in modo
unitario e anche con cadenza periodica, purchè , al momento del pagamento, sia
attestata  la regolarità di tutti i versamenti relativi alle ritenute e all’IVA scaduti a tale
data, che non siano stati oggetto di precedente attestazione.
 
 
III. ADEMPIMENTI
 
1.  INAIL: LA DENUNCIA/COMUNICAZIONE DI INFORTUNIO SUL LAVORO DAL 1° LUGLIO 2013 È ESCLUSIVAMENTE ON LINE
(PROT. INAIL 60002.22/01/2013.0000725)
 
La denuncia/comunicazione di infortunio è l’adempimento al quale è tenuto il datore di lavoro
nei confronti dell’INAIL in caso di infortuni sul lavoro dei lavoratori dipendenti o assimilati
soggetti all’obbligo assicurativo, che siano prognosticati non guaribili entro tre giorni escluso
quello dell’evento, indipendentemente da ogni valutazione circa la ricorrenza degli estremi di
legge per l’indennizzabilità.
Il testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (D.lgs. 81/2008) ha previsto, alla scadenza di
sei mesi dall'emanazione del decreto interministeriale per la costituzione del Sistema
Informativo Nazionale per la Prevenzione nei luoghi di lavoro, all’articolo 18, lett.r), l'obbligo
da parte dei datori di lavoro
di:
1)  trasmettere per via telematica all'Inail la comunicazione a fini statistici ed informativi di
tutti gli infortuni sul lavoro che comportino un'assenza di almeno un giorno, escluso quello
dell'evento, entro 48 ore a decorrere dalla ricezione del certificato medico;
 
2)  trasmettere per via telematica all'Inail la denuncia a fini assicurativi degli infortuni che
comportino un'assenza dal lavoro superiore a tre giorni, entro  48 ore a decorrere dalla
ricezione del certificato medico.
L'assolvimento dell'obbligo di comunicazione avviene tramite la denuncia assicurativa per
gli infortuni sul lavoro con prognosi superiore a tre giorni.  
La norma in questione si inserisce pienamente in una logica di semplificazione degli
adempimenti a carico del datore di lavoro, nonché di semplificazione dell'azione
amministrativa.
Il d.p.c.m. 22 luglio 2011, ha stabilito, all’articolo 1 che, "a decorrere dal 1° luglio 2013, la
presentazione di istanze, dichiarazioni, dati e lo scambio di informazioni e documenti,
anche a fini statistici, tra le imprese e le amministrazioni pubbliche avviene esclusivamente
in via telematica".
In attuazione delle disposizioni sopra richiamate, saranno rilasciate gradualmente in
produzione le nuove procedure di denuncia/comunicazione di infortunio e di malattia
professionale in via telematica, accessibili dal portale dell'Istituto (Punto Cliente).
Alla data del 1° luglio 2013 l'invio telematico sarà obbligatorio:
-  per i datori di lavoro titolari di posizione assicurativa presso l'Istituto già abilitati
attualmente;
- per le pubbliche amministrazioni assicurate con la speciale forma della gestione per conto
dello Stato;
- per gli imprenditori agricoli;
-  per i privati cittadini (in qualità di datori di lavoro di collaboratori domestici, badanti o
lavoratori che effettuano prestazioni occasionali di tipo accessorio).
Il nuovo modello è il  4 bis Prest. all. 1 (scaricabile dal sito www.inail.it - Assicurazione -
Modulistica  - Download dei modelli, contestualmente al rilascio della nuova applicazione
informatica),   sostituisce i vecchi modelli 4 Prest e 117 Prest.), e può essere utilizzato in
formato cartaceo sino al 30 giugno 2013.
 
                 
   
NEWSLETTER MARZO 2013 - PRIVACY
 
VIDEOSORVEGLIANZA
 
Il Garante della Privacy è tornato a pronunciarsi in materia di videosorveglianza
con un interessante provvedimento del 4 ottobre 2012,  a mente del quale  è stato
dichiarato illegittimo il trattamento dei dati effettuati a mezzo di un sistema di
videosorveglianza, composto di quattro telecamere (tutte brandeggiabili e dotate di
zoom), tre delle quali riprendevano il locale dove  sono posizionate le postazioni
computer presso le quali operavano i dipendenti  della società; mentre la quarta
riprendeva l'area antistante la porta di accesso alla sede della società.
 
Peraltro nell’ambito dell’ispezione effettuata dalla Guardia di Finanza  –  Nucleo
Speciale Privacy, emergeva che:
-  le tre telecamere interne rilevavano anche l'audio;
-  a detta della società, previa autenticazione, un tecnico manutentore (convocato
in caso di necessità)  –  non designato né responsabile né incaricato del
trattamento ai sensi degli artt. 29 e 30 del Codice  –  poteva visualizzare le
immagini, che allo stato non formavano oggetto di registrazione;
-  le finalità del trattamento sarebbero state da ricondursi esclusivamente a
motivazioni di deterrenza di eventuali fatti illeciti ed alla tutela del patrimonio
aziendale;
-  a detta del rappresentante della società questi dichiarava che "le immagini non
sono state mai visualizzate" e "di norma non vengono visualizzate da nessuno";
-  il rappresentante della società dichiarava altresì che non era stato siglato
l'accordo sindacale né era stata interessata la direzione provinciale del lavoro in
quanto il sistema installato, allo stato attuale, non prevedendo la registrazione
delle immagini, bensì la mera visualizzazione delle stesse ed essendo stato
installato per la tutela del patrimonio aziendale non viene in nessun caso
utilizzato per un eventuale controllo a distanza dei lavoratori;
-  l'informativa agli interessati  veniva resa mediante apposito cartello
"posizionato all'ingresso dei locali e prima di entrare nel raggio d'azione delle
riprese" sprovvisto di indicazioni circa la titolarità del trattamento e le finalità
del medesimo.
 
A fronte di quanto sopra, è stato possibile appurare che il sistema di
videosorveglianza installato all'interno della società era in grado di riprendere
l'attività dei lavoratori captando altresì l'audio di quanto accadeva negli ambienti
destinati allo svolgimento dell'attività lavorativa e ciò contrasterebbe con il
Provvedimento Generale dell'8 aprile 2010 (punto 4.1) del Garante della Privacy,
secondo cui "non devono essere effettuate riprese al fine di verificare l'osservanza
dei doveri di diligenza stabiliti per il rispetto dell'orario di lavoro e la correttezza                    
   
nell'esecuzione della prestazione lavorativa e consentirebbero il controllo a
distanza dell'attività dei lavoratori, cosa che è peraltro vietata dall'art. 4, comma 1,
l. n. 300/1970, la cui osservanza costituisce presupposto indefettibile per la liceità
e correttezza del trattamento di dati personali, ai sensi degli artt. 11, comma 1, lett.
a), e 114 del Codice della Privacy”.
 
Sempre su tale ultimo punto, inoltre, il Garante della Privacy ribadiva  che, ai sensi
dell'art. 4, comma 2, l. n. 300/1970, "gli impianti e le apparecchiature di controllo
che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del
lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività
dei lavoratori,  possono essere installati soltanto previo accordo con le
rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la
commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro,
provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'uso di
tali impianti".
 
Nel caso di specie il Garante, al di là della ritenuta violazione del principio di liceità
del trattamento effettuato in violazione dell'art. 4, comma 1, l. n. 300/1970, rilevava
come non fossero state provate in atti le prescritte esigenze connesse
all'organizzazione o alla sicurezza del lavoro ovvero alla produzione, né, in ogni
caso, come fosse stata data attuazione agli adempimenti previsti dall'art. 4, comma
2, l. n. 300/1970, rilevando ,inoltre, che il divieto di controllo a distanza dell'attività
lavorativa non viene meno in ragione della circostanza che lo stesso possa essere
discontinuo, né è escluso dalla circostanza che le telecamere "siano state solo
installate ma non ancora funzionanti" ovvero per il fatto che i lavoratori siano al
corrente dell'esistenza del sistema di videosorveglianza, con la conseguenza che il
trattamento di  dati personali a tal fine e con tali mezzi effettuato, doveva
considerarsi illecito.
 
Disclaimer: Il presente documento ha esclusivamente natura informativa e non
costituisce un parere legale. Le informazioni in esso contenute possono essere non
aggiornate o complete.  
Per ulteriori informazioni o approfondimenti si invita a prendere contatti con lo
studio legale associato Quorum.